Tu sai di non sapere nulla.
Scopri che cos’è questo sapere: ecco la liberazione.
(Ramana Maharshi)
Che yoga fai? Mi chiedono le persone interessate ad iscriversi ad un corso.
Ogni volta, questa domanda, mi procura un piccolo black out interno.
Che cosa rispondo?
Rispondo con un saccente lo yoga non si fa, è un’esperienza che va vissuta?
Rispondo con un generico hatha yoga così magari il commento successivo è:-Ah bene, perché vorrei proprio qualcosa di dinamico.-
Ed io, nella mia testolina:-No, accidenti, la mia pratica non ha niente di dinamico anzi vorrei proprio evitare quel meccanismo sottile per cui dinamico diventa meccanico così si parcheggia ancora una volta la nostra mente nello stesso esatto posto in cui l’abbiamo lasciata prima di praticare.-
Oppure, l’altra versione:- Peccato stavo cercando anche un corso di meditazione.-
Santo cielo, hatha yoga è meditazione!
Entro nello stesso breve blackout anche quando me lo si chiede dagli “interni al settore” per inserire la mia pratica in una qualche categoria. Per esempio in un portale oppure i vari compagni praticanti che sottolineano quale sia il vero maestro, la vera pratica, il vero yoga eccetera.
Io sono refrattaria agli schemi; ho delle grosse perplessità riguardo a tutte quelle regole per cui un’asana si fa prima di un’altra, le tecniche di rilassamento, le tecniche di meditazione, il metodo di pinco pallino…
Mi cadono le (s)palle, e alla domanda che yoga fai vorrei solo rispondere: non so.
Talvolta mi viene l’orticaria solo a sentire la parola yoga, vorrei che scomparisse la parola insieme a tutti i significati pieni di pretese e di aspettative di cui l’abbiamo imbottita in questo ultimo ventennio (almeno).
Vorrei che scomparisse la parola, ogni metodo, ogni vincolo, ogni condizionamento, non la sādhanā.
Si chiama sādhanā , non si chiama metodo e nemmeno tecnica nello yoga.
Non c’è copyright, steps, livelli e percorsi qualificanti.
Voglio dire che alcuni dividono la sādhanā in parti separate: qualcuno la pratica solo a livello fisico, altri coltivano la conoscenza solo a livello psicologico. Questa sādhanā parcellizzata si ritorce sul vostro essere e sulla vostra vita: se la sādhanā non è globale non può avvenire una sintesi delle forze che agiscono in noi. Se la sādhanā è parcellizzata, la spiritualità continuerà ad essere di tipo dialettico. Continueranno a esserci controversie e infinite discussioni se sia superiore lo jňāna yoga oppure il karma yoga o il bhakti yoga. E così continueranno a esserci giudizi, paragoni, dogmi, rigidità, distorsioni, pervertimenti e sette.
Nell’emergere dell’energia unitaria dell’intelligenza e della consapevolezza c’è invece sintesi, samanvaya. C’è uguaglianza, non differenziazione, samatva. Santulan è l’equilibrio nel corpo, samvada è l’armonia psicologica e samatvam è l’equanimità, l’uguaglianza, a livello transpsicologico. Queste tre cose assieme trascendono la spiritualità dialettica e può così emergere un modo olistico di vivere, una cultura olistica.
(Ego, Vimala Thakar – ed. Ubaldini)
C’è una disciplina molto rigorosa, che porta ordine, principi che si fondano sulle cose come stanno.
Le cose come stanno, così, non invenzioni illusorie.
Mi basterebbe che lo yoga mi portasse via da quel non so stizzito, sconsolato o superbo.
Poi si ritorna ad un altro genere di non so, definitivo.
Lo yoga è la Via verso quello scarno, non so.
Perché arriverà il momento che il niente bussa alla porta delle nostre identificazioni e ci chiederà di perdere tutto, sicuramente alla soglia della morte.
Meglio imparare presto che non abbiamo niente, che non siamo niente.
Imperatore:”Ho fatto costruire monasteri, ordinare monaci, tradurre testi; quali meriti ho
accumulato? “
Bodhidharma:”Nessun merito”
Imperatore:” Ma allora su cosa si fonda la sacra dottrina?”
Bodhidharma:”Un vuoto immenso ed in esso nulla di sacro”
Imperatore:”Ma chi sei tu per parlarmi così?”
Bodhidharma:” Non lo so”
E si inchinò.
(Pubblicato su “Il giornale dello yoga”, giornale on line che tratta di yoga e spiritualità – 2018)